giovedì 7 febbraio 2008

Testi di appoggio della Scuola di Comunità

Condivido alcuni testi, che possono essere di aiuto nella lettura della Scuola di Comunità.
1) Giovanni Battista riconosce Gesù
2) Incontro con Giovanni e Giacomo
3) Giovanni e Giacomo riferiscono a Pietro il loro incontro con il Messia
4) Incontro con Pietro e Andrea
5) Le nozze di Cana
6) Il re del Portogallo
Giorgio Razeto

Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1,29-34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: "Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me". Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Da Maria Valtorta, L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. I, cap. 45, ed. CEV.

Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. [.]

Quella voce intima, che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. [.]

In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. [.] Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E' un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà. Mentre lo ascolto - e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli evangelisti, ma amplificate in irruenza - vedo avanzarsi lungo una stradicciuola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnato dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l'hanno percorso per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall'altro lato del fiume e si perde fra il verde dell'altra sponda.

Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.

Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell'emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.

Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l'antitesi l'uno dell'altro. Alti tutte e due - è l'unica somiglianza - sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d'un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall'abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall'aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.

Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l'Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?».

Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».

«Mai mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato e Tu vieni a me?».

E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s'era curvato davanti a Gesù risponde: «Lascia che si facci come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo».

Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell'acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l'acqua del fiume, presa con una specie di tazza, che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.

Gesù è proprio l'Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.

Mentre Gesù risale la riva e, dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni addita alle turbe testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore.

Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro il verde della sponda.

[Da L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. I, cap. 45, ed. CEV.]


24 - 11. Isaia Cap. 41-42-43.
Dice Gesù: [infine si comprende che parla il Padre, ndr]

«Davanti a un Dio che incarna parte di Sé stesso per farne salvezza delle sue creature colpevoli, l'Universo trasecola di stupore e si prostra in un silenzio adorante prima di esplodere nel cantico delle sfere e dei mondi, giubilanti per la Perfezione che scende a portare l'Amore al pianeta coperto di peccato.

Il Vincitore, il Figlio mio santo, è venuto ad incalzare le forze del Male, a metterle in fuga ed a portare il patto dell'alleanza e pace fra Dio e uomo.

Egli ancora passa fra voi e non lascia altra orma fuorché quella del suo amore, orma che solo i puri ed onesti di cuore riconoscono e seguono, perché la Pace attira i pacifici, la Misericordia i buoni, la Giustizia i giusti, la Purezza i puri. Egli ancora viene e vi prende per mano e vi dice: "Non temete perché sono venuto in vostro soccorso".

In tutte le vostre necessità, in tutte le vostre pene, in tutte le vostre sventure, a che diffidate? Avete fra voi Colui davanti al cui desiderio il Padre non sa opporre rifiuto, perché il Figlio mio ha superato ogni mio desiderio e devo a Lui giusto compenso.

Se rifletteste, o cristiani, figli del mio Figlio che vi ha generati alla Grazia col suo sacrificio di Uomo e di Dio, se rifletteste a quale sorte vi ho tratti, dovreste non dico adorarmi ed amarmi per tutta la vita, ma amarmi e adorarmi per cento e più vite, se vi fosse concesso di rivivere più vite. Amatemi dunque con un super-amore e amate in uguale misura il mio Verbo che è venuto a darvi la Vita.

Quand'anche foste dei morti, voi tornerete a vivere se credete in Lui; quand'anche foste terre aride e senza vegetazione, vi coprirete di verzura e di fresche acque, poiché dove passa e sosta il Figlio mio santo là scaturisce a fiumi la grazia del Signore e fiorisce il giglio e la rosa, crescono palme ed ulivi e più alte del cedro le virtù nel cuore dell'uomo.

Quando vedete dalla terra corrotta sorgere un santo come fiore da mucchio di putrida paglia, quando da un nulla d'uomo vedete sorgere un atleta di Cristo e brillare una luce là dove erano tenebre, e suonare una voce dove prima era silenzio, e illuminare e istruire in nome di Dio, alzate lo sguardo e l'anima a cercare la potenza [1035] creatrice del prodigio: la mia, che come dal limo ha tratto l'uomo così dall'uomo può trarre il santo, il portatore di Dio, il tabernacolo di Dio, l'arca santa su cui la Gloria mia si riposa e da cui la mia Sapienza parla agli spiriti.

Non temete di accostarvi a Noi che vi amiamo. Non scindete la nostra Unità amando Uno e non gli Altri. Noi ci amiamo e siamo uniti dall'amore. Fate il simigliante.

Il Figlio non deve farvi trascurare il Padre. Egli non lo fa. Egli vi insegna ad amarmi e dalle sue labbra sante ha fatto prorompere la preghiera perfetta al Padre dei Cieli. Il Figlio non deve farvi trascurare lo Spirito Santo. Egli non lo fa. Come sulle soglie della predicazione vi insegna a pregare Me, Padre Santo, così sulle soglie della Passione vi insegna ad amare il Paraclito che sarà l'Illuminatore della Verità insegnata.

Senza il Padre non avreste avuto il Figlio, e senza il Figlio non potreste avere avuto lo Spirito. Senza lo Spirito non potreste comprendere la Parola e senza comprendere la Parola seguire da giusti i suoi dettami e conquistare il possesso del Padre.

Come elissi di luce, le cause e gli effetti vanno da Dio: polo superiore, a voi: polo inferiore, e da voi risalgono a Dio. Non potete porre una frattura nella parabola mistica. Non si spezza l'Unità. Spezzata che sia, con un amore deforme, non potete più risalire senza pericolo alla Perfezione, perché turbate col vostro disordine la scia di Carità che seco trascina come rete divina gli spiriti di coloro che hanno compreso ciò che è Dio e non amano Dio, Spirito perfetto, altro che con amore da cui 1'umanità è esclusa.

Non ascoltate voci false che vi dicono una dottrina disforme a quella che il mio Figlio ha portato. E come possono questi banditori di "verbi nuovi" dire parole di Vita se la Vita non è in loro, se sono più falsi dei simulacri degli dèi bugiardi? Non fatevi di essi degli dèi: è abominio farsi credere tali ed è abominio il crederlo. Uno solo è Dio: Io e Colui che Io ho mandato, che si incarnò per l'Amore. Gli altri sono degli iniqui venduti a Satana a venditori di voi al Serpente maledetto.

Guardate al santo Figlio mio, al mio Cristo ubbidiente come servo, Lui l'Eterno mio pari, per amore al Padre. Egli è Colui che ha levato l'amarezza dal seno mio e mi ha ricongiunto i figli che s'erano da Me staccati. Il mio spirito è in Lui, perché Io sono uno con Lui che si fa ministro del Pensiero del Padre. Confrontatelo ai vostri bugiardi "messia" e vedete quanto è dolce e perfetto il mio Figlio, l'Atteso delle genti, il Salvatore del mondo.

In Lui, pieno di ogni virtù portata alla perfezione, risiedono Giustizia e Misericordia, ma poiché è mite e santo non impone, non grida, non minaccia ed opprime. Il Primogenito di voi tutti, il Consacrato ab eterno al Signore, parla con la voce del suo amore, insegna con l'esempio e redime col suo sacrificio. È come tiepida acqua che scende dai cieli in aprile per detergere e ravvivare fiori e zolle e portare la vita là dove le bufere hanno strappato le fronde. È come luce che scende a mostrare la via, ed è così placida che non vi accorgete di essa fuorché quando è da voi perduta. È come voce che chiama per condurre alla Verità, e non vi è sul suo labbro parola dura per le miserie dell'uomo.

Ha lasciato l'abbraccio del Padre per farsi ambasciatore a voi della mia Legge e ha immolato Se stesso a vita oscura e a tragica morte perché al patto di alleanza fra la umanità a Dio fosse posto un sigillo [1039] che nessuna forza leva: il suo Sangue che sta come splendida firma ai piedi del trattato di perdono.

Ha usato della sua indistruttibile potenza di Dio, non annullata nella sua nuova veste d'uomo, non per regnare ma per farvi regnare: sul male, sulle malattie, sulla morte. Ha usato della sua Sapienza non per schiacciarvi ma per elevarvi. Ha fatto di Se stesso moneta di riscatto, strada, ponte, per farvi superare gli ostacoli che vi precludevano il Cielo e acquistarvi il Cielo.

Ed Io ho dovuto aggravare su Lui, l'Innocente, la mano, perché infinite erano le vostre colpe passate, presenti e future, e infinito doveva essere il sacrificio offerto per annullarle. Potete voi misurare questa massa di sacrificio? No, non lo potete. Solo Io che sono Dio posso saperla. Io solo conosco le sofferenze della mia divina Creatura.

Non guardate al supplizio materiale durato poche ore. Non solo in quell'ora il Verbo sofferse. Per i secoli dei secoli nella sua beatitudine di Dio si è mescolato l'indescrivibile fiume di angoscia del suo dolore. Dolore per le offese al Padre suo amatissimo, dolore per i dispregi alle luci del Paraclito, dolore per le offese al Verbo inutilmente portato alle folle, dolore per le colpe future che avrebbero posato i loro luridi piedi sulla santità del suo Io santissimo, dolore per l'inutilità del suo sacrificio per molta parte di viventi.

Non guardate ai flagelli, alle spine, ai chiodi con cui fu martirizzata la Carne dai ciechi di allora. Guardate agli spirituali tormenti che voi date al mio Santo con le vostre resistenze al suo supplicare.

E chi più sordi e ciechi di voi? Voi non avete rotti timpani e pupille, ma rotto lo spirito, per cui la Legge sublime che il mio Figlio è venuto a portarvi, e tuttora vi porta, non penetra in voi, o se vi penetra subito ne esce come da crivello sfondato.

Onde, a frutto di questa vostra deformità spirituale di cui siete i volontari autori, avete le guerre atroci nelle quali, oltre che vite e sostanze, perdete sempre più l'amore e perciò perdete sempre più Dio.

Ma voi non tutti siete dei lebbrosi e degli insatanassati. Fra voi, rari come perle nel seno delle ostriche, sono i fedeli di mio Figlio e miei. Ad essi dico: "Rimaneteci fedeli ed Io vi giuro che sarò con voi. Siate i banditori del mio Verbo e i testimoni della Giustizia, della Misericordia, della Santità nostra. In questa vita ci avrete vicino e nell'altra ci sarete vicini e vedrete le opere della Divinità. Quando Colui a cui ho deferito ogni giudizio verrà a dividere la messe dal loglio e a benedire gli agnelli maledicendo gli aspidi e gli arieti, voi sarete intorno a Lui, ruote di luce festante intorno alla Luce tremenda e regale della Divinità incarnata. Voi sarete il nuovo popolo di Dio, il popolo eterno su cui il mio benedetto e santissimo Figlio regnerà, e ne annunzierete alle stelle e ai pianeti le lodi poiché tutto ciò che è stato fatto fu fatto per fare trono alla Vittima, all'Eroe, al Santo su cui non è macchia e su cui si posa la compiacenza del Padre, e astri e pianeti devono, nell'ora del suo trionfo, fare tappeto di gemme al Re del mondo che passa seguito dal suo corteo di santi per entrare nella Gerusalemme eterna, quando avrà avuto termine questa vicenda della creazione con la distruzione della Terra e il Giudizio delle Genti".»

In principio a questo dettato ho scritto: "Dice Gesù". Ma, come lei vede, è qui il Padre Santissimo che parla celebrando il Figlio.

[dai Quad. del 43, ed. CEV]

Rif. Scuola di Comunità “Si può vivere così?” pag. 43, Cap. I – La Fede

+ Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 1, 35-39

35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37 E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.


L'incontro con Giovanni e Giacomo
Da Maria Valtorta, L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. I, cap. 47, ed. CEV.

25 febbraio 1944.
Vedo Gesù che cammina lungo la striscia verde che costeggia il Giordano. È tornato su per giù al posto che ha visto il suo battesimo. Presso il guado che pare fosse molto conosciuto e frequentato per passare all'altra sponda verso la Perea. Ma il luogo, dianzi tanto affollato di gente, ora appare spopolato. Solo qualche viandante, a piedi o a cavallo di asino cavalli, lo percorre. Gesù pare non accorgersene neppure. Procede per la sua strada e salendo a nord, come assorto nei suoi pensieri.
Quando giunge all'altezza del guado incrocia un gruppo di uomini di età diverse, che discutono animatamente tra loro e che poi si separano, parte andando verso sud e parte risalendo a nord. Fra quelli che si dirigono a nord vedo esservi Giovanni e Giacomo.
Giovanni vede per primo Gesù e lo indica il fratello e compagni. Parlano fra loro per un poco e poi Giovanni si dà a camminare velocemente per raggiungere Gesù. Giacomo lo segue più piano. Gli altri non se ne occupano. Camminano lentamente, discutendo.
Quando Giovanni è presso a Gesù, alle sue spalle, lontano appena un o due o tre metri, grida: «Agnello di Dio che levi i peccati del mondo!».
Gesù si volge e lo guarda. I due sono a pochi passi l'uno dall'altro. Si osservano. Gesù col suo aspetto serio e indagatore. Giovanni col suo occhio puro e ridente nel bel viso giovanile che pare di fanciulla. Gli si danno sì e no vent'anni, e sulla gota rosata non vi è altro segno che quello di una peluria bionda, che pare una velatura d'oro.
«Chi cerchi?», gli chiede Gesù.
«Te, Maestro».
«Come sai che sono maestro?».
«Me lo ha detto il Battista».
«E allora perché mi chiami Agnello?».
«Perché ti ho udito indicare così da lui un giorno che Tu passavi, poco più di un mese fa».
«Che vuoi da Me?».
«Che Tu ci dica le parole di vita eterna e che ci consoli».
«Ma chi sei?».
«Giovanni di Zebedeo sono, e questo è Giacomo mio fratello. Siamo di Galilea. Pescatori siamo. Ma siamo pure discepoli di Giovanni. Egli ci diceva parole di vita e noi lo ascoltavamo, perché vogliamo seguire Dio e con la penitenza meritare il suo perdono, preparando le vie del cuore alla venuta del Messia. Tu lo sei. Giovanni l'ha detto, perché ha visto il segno della Colomba posarsi su Te. A noi l'ha detto: "Ecco l'Agnello di Dio". Io ti dico: Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dacci la pace, perché non abbiamo più chi ci guidi e l'anima è turbata».
«Dove è Giovanni?».
«Erode l'ha preso. In prigione è, a Macheronte. I più fedeli fra i suoi hanno tentato di liberarlo. Ma non si può. Torniamo di là. Lasciaci venire con Te, Maestro. Mostraci dove abiti».
«Venite. Ma sapete cosa chiedete? Chi mi segue dovrà tutto lasciare: e casa, e parenti, e modo di pensare, e vita anche. Io vi farò i miei discepoli i miei amici, se volete. Ma Io non ho ricchezze e protezioni. Sono, e più lo sarò, povero sino a non avere dove posare il capo e perseguitato più di sperduta pecora dai lupi. La mia dottrina è ancor più severa di quella di Giovanni, perché interdice anche il risentimento. Non tanto all'esterno si volge, quanto allo spirito. Rinascere dovrete se volete essere miei. Lo volete voi fare?».
«Sì, Maestro. Tu solo hai parole che ci danno luce. Esse scendono e, dove era tenebra di desolazione perché privi di guida, mettono chiarore di sole».
«Venite, dunque, e andiamo. Vi ammaestrò per via».

Dice Gesù:
«Il gruppo che mi aveva incontrato era numeroso. Ma uno solo mi riconobbe. Colui che aveva anima, pensiero e carne limpidi da ogni lussuria.
Insisto sul valore della purezza. La castità è sempre fonte di lucidità di pensiero. La verginità affina, poi, e conserva la sensibilità intellettiva ed affettiva a perfezione, che solo chi è vergine prova.
Vergine si è in molti modi. Forzatamente, e questo specie per le donne, quando non si è stati scelti per nozze di sorta. Dovrebbe esserlo anche per gli uomini. Ma non lo è. E ciò è male, perché da una gioventù anzitempo sporcate dalla libidine non potrà che venire un capofamiglia malato nel sentimento e sovente anche nella carne.
Vi è la verginità voluta, ossia quella di coloro che si consacrano al Signore in uno slancio dell'animo. Bella verginità! Sacrificio gradito a Dio! Ma non tutti poi sanno permanere in quel loro candore di giglio che sta rigido sullo stelo, teso al cielo, ignaro del fango del suolo, aperto solo al bacio del sole di Dio e delle sue rugiade.
Tanti restano fedeli materialmente al voto fatto. Ma in fedeli col pensiero che rimpiange e desidera ciò che ha sacrificato. Questi non sono vergini che a metà. Se la carne è intatta, il cuore non lo è. Fermenta, questo cuore, ribolle, sprigiona fumi di sensualità, tanto più raffinata e riprovata quanto più è creazione del pensiero che accarezza, pasce, e aumenta continuamente immagini di appagamenti illeciti anche a chi è libero, più che illeciti a chi è votato.
Viene allora l'ipocrisia del voto. L'apparenza c'è, ma la sostanza manca. Ed in verità vi dico che, fra gli viene a Me con il giglio spezzato dall'imposizione di un tiranno e chi vi viene con il giglio non materialmente spezzato, ma sbavato dal rigurgito di una sensualità accarezzata e coltivata per empire di essa le ore di solitudine, Io chiamo "vergine" il primo e "non vergine" il secondo. E al primo do corona di vergine e duplice corona del martirio per la carne ferita e per il cuore piegato dalla non voluta mutilazione.
Il valore della purezza è tale che, tu lo hai visto, Satana si preoccupo per prima cosa di convincermi all'impurità. Esso sa bene che la colpa sensuale smantella l'anima e la fa facile preda alle altre colpe. La cura di Satana si è volta a questo punto capitale per vincermi.
Il pane, la fame sono le forme materiali per l'allegoria dell'appetito, degli appetiti che Satana sfrutta ai suoi fini. Ben altro è il cibo che esso mi offriva per farmi cadere come ebbro ai suoi piedi! Dopo sarebbe venuta la gola, il denaro, il potere, l'idolatria, la bestemmia, l'abiura della Legge divina. Ma il primo passo per avermi era questo. Lo stesso che usò per servire Adamo.
Il mondo schernisce i puri. I colpevoli di impudicizia li colpiscono. Giovanni Battista è una vittima della lussuria di due osceni. Ma se il mondo ha ancora un poco di luce, ciò si deve ai puri del mondo. Sono essi i servi di Dio e sanno capire di io e ripetere le parole di Dio. Io ho detto: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio". Anche dalla Terra. Essi, ai quali il fumo del senso non turba il pensiero, "vedono" Dio e l'odono e lo seguono, e il additano agli altri. Giovanni di Zebedeo è un puro. È il puro fra i miei discepoli. Chi anima di fiore in un corpo d'angelo! Egli mi chiama con le parole del suo primo maestro e mi chiede di dargli pace. Ma la pace l'ha in sé per la sua vita pura, ed Io l'ho amato per questa sua purezza, alla quale ho affidato gli insegnamenti, i segreti, la Creatura più cara che avessi.
È stato il mio primo discepolo, il mio amante dal primo istante che mi vide. La sua anima si era fusa con la mia sin dal giorno che mi aveva visto passare lungo il Giordano e mi aveva visto indicare dal Battista. Se anche non m'avesse incontrato di poi, al ritorno dal deserto, mi avrebbe cercato tanto da riuscire a trovarmi, perché chi è puro è umile e desideroso di istruirsi nella scienza di Dio e viene, come va l'acqua al mare, verso quelli che riconosce maestri nella dottrina celeste».

Dice ancora Gesù:
«Non ho voluto che tu parlassi sulla tentazione sensuale del tuo Gesù. Anche se la tua interna voce che aveva fatto comprendere il movente di Satana per attirarmi al senso, ho preferito parlarne Io. E non vi pensare oltre. Era necessario parlarne. Ora passa avanti. Il fiore di Satana lascialo sulle sue sabbie. Vieni dietro a Gesù come Giovanni. Camminerai fra le spine, ma troverai per rose le stille di sangue di Chi le sparse per te, per vincere anche in te la carne.
Prevengo anche un'osservazione. Dice Giovanni nel suo Vangelo, parlando dell'incontro con Me "E il giorno seguente". Sembra perciò che il Battista mi indicasse il giorno seguente al battesimo e subito Giovanni e Giacomo mi seguissero. Cosa che contrasta con quanto dissero gli altri evangelisti circa i quaranta giorni passati nel deserto. Ma leggete così: "(Avvenuto ormai l'arresto di Giovanni) uno giorno in seguito i due discepoli di Giovanni Battista, ai quali egli mi aveva indicato dicendo: "Ecco l'agnello di Dio", rivedendomi, mi chiamarono e mi seguirono". Dopo il mio ritorno dal deserto.
E insieme tornammo sulle rive del lago di Galilea, dove Io avevo preso rifugio per iniziare da lì la mia evangelizzazione, e i due parlarono di Me - dopo essere stati con Me per tutto il cammino e per un'intera giornata nella casa ospitale di un amico di casa mia, del parentado - agli altri pescatori.
Ma l'iniziativa fu di Giovanni, al quale la volontà di penitenza aveva reso l'anima, già tanto limpida per la sua purezza, Un capolavoro di limpidità su cui la Verità si rifletteva nitidamente, dandogli anche la santa audacia dei puri e dei generosi, che non temono mai di farsi avanti dove vedono che vi è Dio, la verità è dottrina e via di Dio. Quanto l'ho amato per questa sua semplice ed eroica caratteristica!».


Giovanni e Giacomo riferiscono a Pietro il loro incontro con il Messia
Da Maria Valtorta, L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. I, cap. 48, ed. CEV.

12 ottobre 1944.
Una serenissima aurora sul mare di Galilea. Cielo e acqua hanno bagliori rosati, di poco dissimili a quelli che splendono miti fra i muri dei piccoli orti del paesello lacustre, da cui si elevano e si affacciano, quasi rovesciando sulle viuzze, chiome spettinate e vaporose di alberi da frutto.
Il paesello si desta appena, con qualche donna che va alla fonte o a una vasca a lavare, e con dei pescatori che scaricano le ceste di pesce e contrattano vociando con dei mercanti venuti da altrove, o che portano del pesce alle case loro. Ho detto paesello, ma non è tanto piccolo. È piuttosto umile, almeno nell'atto che vedo io, ma vasto, steso per la più parte lungo il lago.
Giovanni sbuca da una stradetta e va frettoloso verso il lago. Giacomo lo segue, ma molto più calmo. Giovanni guarda le barche già aggiunte a riva, ma non vede quella che cerca. La vede ancora a qualche centinaio di metri dalla riva, intenta alle manovre per rientrare, e grida forte, con le mani alla bocca, un lungo «Oh-è!» che deve essere il richiamo usato. E poi, quando vede che lo hanno sentito, si sbraccia in grandi gesti che accennano: «Venite, venite».
Gli uomini della barca, credendo chissà che, danno di piglio ai remi, e la barca va più veloce che con la vela, che essi ammainano, forse per fare più presto.Quando sono a un dieci metri da riva, Giovanni non attende oltre. Si leva il mantello e la veste lunga e li butta sul greto, si scalza i sandali, si alza la sottoveste, tenendo la raccolta con una mano quasi all'inguine, e scende nell'acqua incontro a quelli che arrivano.
«Perché non siete venuti, voi due?», chiede Andrea. Pietro, imbronciato, non dice nulla.
«E tu, perché non sei venuto con me Giacomo?», risponde Giovanni ad Andrea.
«Sono andato a pescare. Non ho tempo da perdere. Tu sei scomparso con quell'uomo...».
«Ti avevo fatto cenno di venire. È proprio Lui. Se sentissi che parole!... Siamo stati con Lui tutto il giorno e la notte sino a tardi. Ora siamo venuti a dirvi: "Venite"».
«È proprio Lui? Ne sei certo? Lo abbiamo appena visto allora, quando ce lo indicò il Battista».
«È Lui. Non lo ha negato».
«Chiunque può dire ciò che gli fa comodo per imporsi e creduloni. Non è la prima volta...», borbotta Pietro malcontento.
«Oh! Simone! Non dire così! È il Messia! Sa tutto! Ti sente!». Giovanni è addolorato e costernato dalle parole di Simon Pietro.
«Già! Il Messia! E si mostra proprio a te, a Giacomo e ad Andrea! Tre poveri ignoranti! Vorrà ben altro il Messia! E mi sente! Ma, povero ragazzo! I primi soli di primavera ti hanno fatto male. Via, vieni lavorare. Sarà meglio. E lascia le favole».
«È il Messia, ti dico. Giovanni diceva cose sante, ma questo parla da Dio. Non può, chi non è il Cristo, dire simili parole».
«Simone, io non sono un ragazzo. Ho i miei anni e sono calmo e riflessivo. Lo sai. Poco ho parlato, ma ho molto ascoltato in queste ore che siamo stati con l'Agnello di Dio, e ti dico che veramente non può essere che il Messia. Perché non credere? Perché non volerlo credere? Tu lo puoi fare, perché non lo hai ascoltato. Ma io credo. Siamo poveri e ignoranti? Egli ben dice che è venuto per annunziare la Buona Novella del Regno di Dio, del Regno di Pace ai poveri, agli umili, ai piccoli prima che grandi. Ha detto: "I grandi hanno già le loro delizie. Non invidiabili delizie rispetto a quelle che Io vengo a portare. I grandi hanno già modo di giungere a comprendere per sola forza di cultura. Ma Io vengo ai 'piccoli' di Israele e del mondo, a coloro che piangono e sperano, a coloro che cercano la Luce ed hanno fame della vera Manna, né vien dai dotti data a loro luce e cibo, ma solo pesi, oscurità, catene e sprezzo. E chiamo i 'piccoli'. Io sono venuto a capovolgere il mondo. Perché abbasserò ciò che ora in alto è tenuto ed alzerò ciò che ora è sprezzato. Chi vuole verità e pace, chi vuole vita eterna venga a Me. Chi ama la Luce venga. Io sono la Luce del mondo". Non ha detto così, Giovanni?». Giacomo ha parlato con pacata ma commossa maniera.
«Sì. E ha detto: "Il mondo non mi amerà. Il gran mondo, perché si è corrotto con vizi e idolatriaci commerci. Il mondo anzi non mi vorrà. Perché il figlio della Tenebra, non ama la Luce. Ma la Terra non è fatta solo del gran mondo. Vi sono in essa coloro che, pur essendo mischiati nel mondo, del mondo non sono. Vi sono alcuni che sono del mondo perché vi sono stati imprigionati come pesci nella rete", ha detto proprio così, perché parlavamo sulla riva del lago ed Egli accennava delle reti che venivano trascinati a riva con i loro pesci. Ha detto, anzi "Vedete. Nessuno di quei pesci voleva cadere nella rete. Anche gli uomini, intenzionalmente, non vorrebbero cadere preda di Mammona. Neppure più malvagi, perché questi, per la superbia che li acceca, non credono di non aver diritto di fare ciò che fanno. Il loro vero peccato è la superbia. Su esso nascono tutti gli altri. Ma coloro, poi, che non sono completamente malvagi, ancor più non vorrebbero essere di Mammona. Ma vi cascano per leggerezza e per un peso che la trascina in fondo, e che è la colpa di Adamo. Io sono venuto a levare quella colpa e a dare, in attesa dell'ora della Redenzione, una tale forza, a chi crederà in Me, capace di liberarvi dal laccio che li tiene e renderli liberi di seguire Me, Luce del mondo"».
«Ma allora, se ha proprio detto così, bisogna andare da Lui, subito». Pietro, coi suoi impulsi così schietti e che mi piacciono tanto, ha subito deciso e già eseguisce, affrettandosi a ultimare le operazioni di scarico, perché la barca è giunta riva e i garzoni ragioni l'hanno quasi tratta in secco, scaricando reti e corde e velame. «E tu, stolto Andrea, perché non sei andato con questi».
«Ma... Simone! Tu mi hai rimproverato perché non avevo persuaso questi a venire con me... Tutta la notte hai brontolato, e ora mi rimproveri di non essere andato?!...».
«Hai ragione... Ma io non lo avevo visto... tu sì... e devi aver visto che non è come noi... Qualcosa di più bello avrà!...».
«Oh! Sì», dice Giovanni. «Ha un volto! Ha degli occhi! Vero, Giacomo, che occhi?! E una voce!... Ah, che voce! Quando parla di par di sognare il Paradiso».
«Presto, presto. Andiamo a trovarlo. Voi (parla ai garzoni) portate tutto a Zebedeo e dite che faccia lui. Noi torneremo questa sera per la pesca».
Sì rivestono tutti e si avviano. Ma Pietro, dopo qualche metro, si arresta e afferra Giovanni per un braccio e chiede: «Hai detto che sa tutto e che sente tutto...».
«Sì. Pensa che quando noi, vedendo la luna alta, abbiamo detto: "Chissà che farà Simone?", Egli ha detto: "Sta gettando la rete e non si sa dar pace di dover fare da solo, perché non siete usciti con la barca gemella in una sera di così buona pesca... Non sa che fra poco non pescherà più che con altre reti e non farà che altre prede"».
«Misericordia divina! È proprio vero! Allora avrà sentito anche... anche che io gli ho dato poco meno che del mentitore... Non posso andare da Lui».
«Oh! È tanto buono! Certo si sa che tu hai così pensato. Lo sapeva già. Perché quando lo abbiamo lasciato, dicendo che venivamo da te, ha detto: "Andate. Ma non lasciatevi vincere dalle prime parole di scherno. Chi vuole venire con Me deve sapere tener testa agli scherni del mondo e alle proibizioni dei parenti. Perché Io sono sopra il sangue e la società, e trionfo su essi. E chi con Me pure trionferà in eterno". E ha detto anche: "Sappiate parlare senza paura. Colui che vi udrà verrà, perché è uomo di buona volontà"».
«Così ha detto? Allora vengo. Parla, parla ancora di Lui mentre andiamo. Dov'è?».
«In una povera casa; devono essere persone a Lui amiche».
«Ma è povero?».
«Un operaio di Nazaret. Così ha detto».
«E come vive, ora, se non lavora più?».
«Non lo abbiamo chiesto. Forse lo sovvengono i parenti».
«Era meglio portare del pesce, del pane, frutta..., qualche cosa. Andiamo a interrogare un rabbi, perché è come e più di un rabbi, a mani vuote!... I nostri rabbini non vogliono così...».
«Ma Lui vuole. Non avevamo che venti denari fra me e Giacomo e glieli abbiamo offerti, come consuetudine ai rabbini. Non li voleva. Ma, poi che insistevamo, ha detto: "Dio ve li renda nelle benedizioni dei poveri. Venite con Me", e subito li ha distribuiti a dei poverelli che Egli sapeva dove abitavano; e a noi che chiedevamo: "E per Te, Maestro, non serbi nulla?", ha risposto: "La gioia di fare la volontà di Dio e di servire la sua gloria". Noi abbiamo detto anche: "Tu ci chiami, Maestro. Ma noi siamo tutti poveri. Che ti dobbiamo portare?". Ha risposto, con un sorriso che proprio frustare il Paradiso: "Un grande tesoro voglio da voi"; e noi: "Ma se non l'abbiamo?"; e Lui: "Un Tesoro dai sette nomi, e che anche il più meschino può avere e il più ricco può non possedere, lo avete e lo voglio. Uditene i nomi: carità, fede, buona volontà, retta intenzione, continenza, sincerità, spirito di sacrificio. Questo Io voglio da chi mi segue, questo solo, e in voi c'è. Dorme come seme sotto zolla invernale, ma il sole della mia prima vera lo farà nascere in settemplice spiga". Così ha detto».
«Ah! Questo mi assicura che è il Rabbomi vero, il Messia promesso. Non è duro ai poveri, non chiede denaro... Basta per dirlo il Santo di Dio. Andiamo sicuri».
E tutto ha termine.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 1, 40-42
40. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» 42 e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)».

Incontro con Pietro e Andrea
Da Maria Valtorta, L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. I, cap. 49, ed. CEV.

13 ottobre 1944.
[...].
Alle 14 vedo questo:
Gesù viene avanti per una piccola stradetta, un sentiero fra due campi. È solo punto Giovanni procede verso di Lui da tutt'altro viottolo fra i campi e lo raggiunge infine, passando per un varco fra la siepe.
Giovanni, tanto nella visione di ieri come oggi, è tutto affatto giovanetto. Un volto roseo e imberbe di uomo appena fatto, e biondo per giunta. Per ciò non un segno di baffi e di barba, ma solo il rosato delle guance lisce e delle rosse labbra e la luce ridente del suo bel sorriso e dello sguardo puro, non tanto per il suo colore di turchese cupa, quanto per la limpidità dell'anima vergine che vi traspare. I capelli biondo castani, lunghi e soffici, ondeggiano nel passo, veloce quanto una corsa.
Chiama, quando sta per passare la siepe: «Maestro!».
Gesù si arresta e si volge con un sorriso.
«Maestro, ti ho tanto desiderato! Mi hanno detto, nella casa dove stai, che eri venuto verso la campagna... Ma non dove. E temevo non vederti». Giovanni parla lievemente curvo per il rispetto. Eppure è pieno di confidente affetto nella sua attitudine e nello sguardo che, stando col capo lievemente piegato sulla spalla, eleva verso Gesù.
«Ho visto che mi cercavi e sono venuto verso di te».
«Mi hai visto? Dove eri, Maestro?».
«Là ero», e Gesù accenna ad un ciuffo d'alberi lontani che, per la tinta della chioma, direi ulivi. «Là ero. Pregavo e pensavo a quanto dirò questa sera nella sinagoga. Ma ho lasciato subito non appena ti ho visto».
«Ma come hai fatto a vedermi se io appena vedo quel luogo, nascosto come è dietro quel ciglio?».
«Eppure lo vedi! Ti sono venuto incontro perché ti ho visto. Ciò che non fa l'occhio, fa l'amore».
«Sì, fa l'amore. Mi ami dunque, Maestro?».
«E tu mi ami, Giovanni, figlio di Zebedeo?».
«Tanto, Maestro. Mi pare di averti sempre amato. Prima di averti conosciuto, prima ancora, l'anima mia ti cercava, e quando ti ho visto essa mi ha detto: "Ecco Quello che cerchi". Io credo che ti ho incontrato perché la mia anima ti ha sentito».
«Tu lo dici, Giovanni, e dici giusto. Io pure vi sono venuto incontro perché la mia anima che ha sentito. Per quanto mi amerai?".
«Per sempre, Maestro. Non voglio amare più altri che Tu non sia».
«Hai padre e madre, fratelli, sorelle, hai la vita, e con la vita la donna e l'amore. Come farai a lasciare tutto per Me?».
«Maestro... non so... ma mi pare, se non è superbia dirlo, che la tua predilezione mi terrà posto di padre e madre e fratelli e sorelle e anche della donna. Di tutto, sì, di tutto mi terrò sazio se Tu mi amerai».
«E se il mio amore ti procurerà dolori e persecuzioni?».
«Nulla sarà, Maestro, se Tu mi amerai».
«È quel giorno che Io avessi a morire...».
«No! Sei giovane, Maestro... Perché morire?».
«Perché il Messia è venuto per predicare la Legge nella sua verità e per compiere la Redenzione. E il mondo aborre la Legge ne vuole la redenzione. Perciò perseguita i messi di Dio».
«Oh! Ciò non sia! Non lo dire a chi ti ama, questo pronostico di morte!... Ma se Tu avessi a morire, amerò ancora Te. Lascia che io ti ami». Giovanni ha sguardo supplice. Più chinato che mai, cammina a fianco di Gesù e par che mendichi amore.
Gesù si ferma. Lo guarda, lo trapana collo sguardo del suo occhio profondo, e poi gli pone la mano sul capo chino. «Voglio che tu mi ami».
«Oh! Maestro!». Giovanni è felice. Per quanto la sua pupilla sia lucida di pianto, ride con la giovane bocca ben disegnata, e prende la mano divina e la bacia sul dorso e se la stringe al cuore.
Riprendono il cammino.
«Hai detto che mi cercavi...».
«Sì. Per dirti che i miei amici ti vogliono conoscere... e perché, oh! Come avevo voglia di stare con Te ancora! Ti ho lasciato da poche ore... ma non potevo già più stare senza di Te».
«Sei stato dunque un buon annunziatore del Verbo?».
«Ma anche Giacomo, maestro, ha parlato di Te in modo da... convincere».
«In modo che anche chi diffidava - né è colpevole, perché prudenza era causa del suo riserbo - si è persuaso. Andiamo a farlo del tutto sicuro».
«Aveva un poco paura...».
«No! Non paura di Me! Sono venuto per i buoni e più per chi è in errore. Io voglio salvare. Non condannare. Con gli onesti sarò tutto misericordia».
«E coi peccatori?».
«Anche. Per disonesti intendo quelli che hanno la disonestà spirituale e ipocritamente si fingono buoni mentre fanno opere malvagie. E tali cose fanno e in tal modo per avere un utile proprio e ricavare utile dal prossimo. Con questi sarò severo».
«Oh! Simone, allora, può star sicuro. È schietto come nessun altro».
«Così mi piace e voglio siate tutti».
«Lo ascolterò dopo aver parlato nella sinagoga. Ho fatto avvisare poveri e malati oltre che ricchi e sani. Tutti hanno bisogno della Buona Novella».
Il paese si avvicina. Dei bambini giocano sulla strada e uno, correndo, viene a sbattere fra le gambe di Gesù e cadrebbe se Egli non fosse sollecito ad afferrarlo. Il bambino piange lo stesso, come se si fosse fatto male, e Gesù gli dice tenendolo in braccio: «Un israelita che piange? Che avrebbero dovuto fare i mille e mille bambini che sono divenuti uomini valicando il deserto dietro a Mosé? eppure più per loro che per gli altri -- perché l'Altissimo ha amore degli innocenti e provvede a questi Angiolini della Terra, a questi uccellini senza ali, come provvede ai passeri del bosco e della gronda -- proprio per questi ha fatto scendere la manna tanto dolce. Ti piace il miele? Sì? Ebbene, se sarai buono mangerai un miele più dolce di quello delle tue api».
«Dove? Quando?».
«Quando, dopo una vita di fedeltà a Dio, andrai a Lui».
«Io so che non vi andrò se non viene il Messia. La mamma mi dice che per ora noi di Israele siamo come tanti Mosé e moriamo in vista della Terra Promessa. Dice che stiamo lì ad aspettare di entrarvi e che solo il Messia ci farà entrare».
«Ma che bravo piccolo israelita! Ebbene, Io ti dico che quando tu morrai entrerai subito in Paradiso, perché il Messia avrà già aperto le porte del Cielo. Però devi essere buono».
«Mamma! Mamma!». Il bambino scivola dalle braccia di Gesù e corre incontro ad una giovane sposa, che rientra con un'anfora di rame. «Mamma! Il nuovo Rabbi mi ha detto che io andrò subito in Paradiso quando morirò e mangerò tanto miele... ma se sono buono. Sarò buono!».
«Lo voglia Dio! Scusa, Maestro, se ti ha dato noia. È tanto vivace!».
«L'innocenza non dà noia, donna. Dio ti benedica, perché sei una madre che alleva i figli nella conoscenza della Legge».
La donna si fa rossa alla lode e risponde: «A Te pure la benedizione di Dio», e scompare con il suo piccolo.
«Ti piacciono i bambini, Maestro?».
«Sì, perché sono puri... e sinceri... e amorosi».
«Hai dei nipoti, Maestro?».
«Non ho che una Madre... Ma in Lei c'è la purezza, la sincerità, l'amore dei pargoli più santi, insieme alla sapienza, giustizia e fortezza degli adulti. Ho tutto in mia Madre, Giovanni».
«E l'hai lasciata?».
«Dio è sopra anche alla più santa delle madri».
«La conoscerò io?».
«La conoscerai».
«È mi amerà?».
«Ti amerà perché Ella ama chi ama il suo Gesù».
«Allora non hai fratelli?».
«Ho dei cugini da parte del marito di mia Madre. Ma ogni uomo mi è fratello e per tutti sono venuto. Eccoci davanti alla sinagoga. Io entro, e tu mi raggiungerai coi tuoi amici».
Giovanni se ne va, e Gesù entra in una stanza quadrata col solito apparato di lumi a triangolo e di leggii con rotoli di pergamena. Vi è già folla in attesa e in preghiera. Anche Gesù prega. La folla bisbiglia e commenta dietro a Lui, che si curva a salutare il capo della sinagoga e poi si fa dare a caso un rotolo.
Gesù inizia la lezione. Dice:
«Queste cose lo Spirito mi fa leggere per voi. Nel capo settimo del libro di Geremia si legge: "Queste cose dice il Signore degli eserciti, il Dio di Israele: 'Emendate i vostri costumi e i vostri affetti e allora abiterò con voi in questo luogo. Non vi cullate nelle parole vane da voi ripetute: c'è qui il Tempio del Signore, il Tempio del Signore, il Tempio del Signore. Perché, se voi migliorerete i vostri costumi e vostri affetti, se renderete giustizia fra l'uomo e il suo prossimo, se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete in questo luogo il sangue innocente, se non andrete dietro agli dei stranieri, per vostra sventura, allora Io abiterò con voi in questo luogo, nella terra che Io diedi ai vostri padri per secoli e secoli'".
Udite, o voi di Israele. Ecco che Io vengo a illuminarvi le parole di luce che la vostra anima offuscata non sa più vedere e capire. Udite. Molto pianto scende sulla Terra del popolo di Dio e piangono i vecchi che ricordano le antiche glorie, piangono gli adulti piegati al giogo, piangono i fanciulli che non hanno avvenire di futura gloria. Ma la gloria della Terra e nulla rispetto ad una gloria che nessun oppressore, che non sia Mammona e la mala volontà, possono strappare.
Perché piangete? Come l'Altissimo, che fu sempre buono per il popolo suo, ora ha girato altrove il suo sguardo e nega ai suoi figli di vederne il Volto? Non è più il Dio che aperse il mare e ne fece passare Israele e per arene lo condusse e nutrì, e contro nemici lo difese e, perché non smarrisse la via del Cielo, come dire corpi la nuvola, diede alle anime la Legge? Non è più il Dio che addolcì le acque e fece venire manna agli sfiniti? Non è il Dio che vi volle stabilire in questa terra e con voi strinse alleanza di Padre a figli? E allora perché ora lo straniero vi ha percorsi?
Molti fra voi mormorano: "Eppure qui è il Tempio!". Non basta avere il Tempio e in quello andare a pregare Iddio. il primo tempio è nel cuore di ogni uomo, e in quello va fatta preghiera santa. Ma santa non può essere se prima il cuore non si emenda e col cuore non si emendano i costumi, gli affetti, le norme di giustizia verso i poveri, verso i servi, verso i parenti, verso Dio.
Ora guardate. Io vedo ricchi dal cuore duro, e fanno ricche offerte a Tempio ma non sanno dire al povero: "Fratello, ecco un pane e un denaro. Accettalo. Da cuore a cuore, e non t’avvilisca l'aiuto come a me non dire superbia e d'altro". Ecco, Io vedo oranti che si lamentano con Dio che non le ascolta prontamente, ma poi al misero, e talora è loro sangue, che gli dice: "Ascoltami", rispondono con cuore di selce: "No". Ecco, Io vedo che voi piangete perché la vostra borsa è spremuta dal dominatore. Ma poi voi spremete sangue a chi odiate, e di far vuoto un corpo di sangue e vita non avete orrore.
O voi di Israele! Il tempo della Redenzione è giunto. Ma preparatene le vie in voi con la buona volontà. Siate onesti, buoni, amatevi gli uni con gli altri. Ricchi, non sprezzate; mercanti, non frodate; poveri, non invidiate. Siete tutti di un sangue e di un Dio. Siete tutti chiamati ad un destino. Non chiudetevi il Cielo, che il Messia vi aprirà, con i vostri peccati. Avete sin qui errato? Ora non più. Ogni errore cada.
Semplice, buona, facile è la Legge che torna ai dieci comandi iniziali ma tuffati in luce d'amore. Venite. Io ve li mostrerò quali sono: amore, amore, amore. Amore di Dio a voi, di voi a Dio. Amore fra prossimo. Sempre amore, perché Dio è amore e figli del Padre sono coloro che sanno vivere l'amore. Io sono qui per tutti e per dare a tutti la luce di Dio. Ecco la Parola del Padre che si fa cibo in voi. Venite, gustate, cambiate il sangue dello spirito con questo cibo. Ogni veleno cada, ogni concupiscenza muoia. Una gloria nuova vi è porta, quella eterna, e a lei verranno coloro che faranno la Legge di Dio vero studio del loro cuore. Iniziate dall'amore. Non vi è cosa più grande. Ma, quando saprete amare, saprete già tutto, e Dio vi amerà, e amore di Dio vuol dire aiuto contro ogni tentazione.
La benedizione di Dio sia su chi volge a Lui cuore pieno di buona volontà».
Gesù tace. La gente bisbiglia. L'adunanza si scioglie dopo inni cantati molto salmodiandoli.
Gesù esce sulla piazzetta. Sulla porta sono Giovanni e Giacomo con Pietro e Andrea.
«La pace sia con voi», dice Gesù e aggiunge: «Ecco l'uomo che, per esser giusto, ha bisogno di non giudicare senza prima conosce. Ma che però è onesto nel riconoscere il suo torto. Simone, hai voluto vedermi? Eccomi. E tu, Andrea, perché non sei venuto prima?».
I due fratelli si guardano imbarazzati. Andrea mormora: «Non osavo...».
Pietro, rosso, non dice nulla. Ma, quando sente che Gesù dice al fratello: «Facevi del male a venire? Solo il male non si deve osare di farlo», interviene schietto: «Sono stato io. Lui voleva condurmi subito da Te. Ma io... io ho detto... Sì. Ho detto: "Non ci credo", e non ho voluto. Oh! Ora sto meglio!...».
Gesù sorride. E poi dice: «E per la tua sincerità Io ti dico che ti amo».
«Ma io... io non sono buono... non sono capace di fare quello che Tu hai detto nella sinagoga. Io sono iracondo, e se qualcuno mi offende... eh!... non sempre... non sempre sono stato senza frode. E sono ignorante. E ho poco tempo da seguirti per avere la luce. Come farò? Io vorrei diventare come Tu dici... ma...».
«Non è difficile, Simone. Sai un poco Scrittura? Sì? Ebbene, pensa al profeta Michea. Dio da te vuole quello che dice a Michea. Non ti chiede di strapparti il cuore, né di sacrificare gli affetti più santi. Per ora non te lo chiede. Un giorno tu, senza richieste da Dio, darai a Dio anche a te stesso. Ma Egli attende che un sole e una rugiada, di te, filo d'erba, abbiano fatto palma robusta e gloriosa. Per ora Egli ti chiede questo: praticare giustizia, amare la misericordia, mettere ogni cura nel seguire il tuo Dio. Sforzati a fare questo, e il passato di Simone sarà cancellato e tu diverrai l'uomo nuovo, l'amico di Dio e del suo Cristo. Non più Simone. Ma Cefa. Pietra sicura a cui mi appoggio».
«Questo mi piace! Questo lo capisco. La Legge è così... è così... ecco, io quella non la so più fare come l'hanno fatta i rabbini!... Ma questo che Tu dici, sì. Mi pare che ci riuscirò. E Tu mi aiuterai. Stai qui di casa? Conosco il padrone».
«Qui sto. Ma ora andrò a Gerusalemme e poi predicherò per la Palestina. Sono venuto per questo. Ma verrò qui sovente».
«Io verrò a udirti ancora. Voglio esser tuo discepolo. Un poco di luce entrerà nella mia testa».
«Nel cuore soprattutto, Simone. Nel cuore. E tu, Andrea, non parli!».
«Ascolto, Maestro».
«Mio fratello è timido».
«Diverrà un leone. La sera scende. Dio vi benedica e vi dia buona pesca. Andate».
«La pace a Te». Se ne vanno.
Appena fuori, Pietro dice: «Ma che avrà voluto dire prima, quando diceva che pescherò con altre reti e farò altre pesche?».
«Perché non glielo hai chiesto? Volevi dire tanto e poi quasi non parlavi».
«Mi... vergognavo. È così diverso da tutti i rabbi!».
«Ora va' a Gerusalemme...». Giovanni dice questo con tanto desiderio e nostalgia. «Io volevo dirgli se mi lasciava andare con Lui... e non ho osato...».
«Vaglielo a dire, ragazzo», dice Pietro. «Lo abbiamo lasciato così... senza una parola di amore... Almeno sappia che lo ammiriamo. Va', va'. A tuo padre dico io».
«Vado, Giacomo?».
«Va’».
Giovanni parte di corsa... e di corsa torna giubilante. «Gli ho detto: "Mi vuoi con Te a Gerusalemme?". Mi ha risposto: " Vieni, amico". Amico, ha detto! Domani a quest'ora verrò qui. Ah! A Gerusalemme con Lui!...».
... la visione a fine.

In merito a questa visione, mi dice questa mattina (14 ottobre) Gesù:
«Voglio che tu e tutti rileviate il contegno di Giovanni. In un suo lato che sfugge sempre. Voi lo ammirate perché puro, amoroso, fedele. Ma non notate che fu grande anche in umiltà. Egli, artefice primo dell'avvenuta a Me di Pietro, modestamente tace questo particolare.
L'apostolo di Pietro, e perciò il primo degli apostoli miei, fu Giovanni. Primo nel riconoscermi, primo nel rivolgermi la parola, primo nel seguirmi, primo nel predicarmi. Eppure, vedete che dice? Dice: "Andrea, fratello di Simone, era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù. Il primo in cui si imbatté fu suo fratello Simone, a cui disse: 'Abbiamo trovato il Messia' e lo menò da Gesù".
Giusto, oltre che buono, sa che Andrea si angustia di non aver che un carattere chiuso e timido, che tanto vorrebbe fare ma che non riesce a fare, e vuole che a lui vada, nella memoria dei posteri, il riconoscimento del suo buon volere. Vuole che appaia Andrea il primo apostolo di Cristo presso Simone, nonostante che timidezza e soggezione di lui presso il fratello abbiano dato a lui sconfitta di apostolato.
Quali, fra quelli che fanno qualcosa per Me, sanno imitare Giovanni e non si autoproclamano insuperabili apostoli, senza pensare che il loro riuscire viene da un complesso di cose, che non sono solo santità, ma anche audacia umana, fortuna, e occasionale trovarsi presso gli altri meno audaci e fortunati, ma forse più santi di loro?
Quando riuscite nel bene, non gloriatevene come di un merito tutto vostro. Date lode a Dio, padrone degli apostolici operai, e abbiate occhio limpido e cuor sincero per vedere e dare ad ognuno il plauso che gli spetta. Occhio limpido a discernere gli apostoli che compiono olocausto, e sono le prime, vere leve nel lavoro degli altri. Solo Dio li vede questi che, timidi, paiono nulla fare e sono invece i rapitori al Cielo del fuoco che investe gli audaci. Cuor sincero nel dire: “Io opero. Ma costui ama più di me, prega meglio di me, si immola come io non so fare e come Gesù ha detto: '...entro la propria camera con uscio chiuso per orare in segreto'. Io, che intuisco la sua umile e santa virtù, voglio farla nota e dire: 'Io, strumento attivo; costui, forza che mi dà moto, perché, innestato come è a Dio, m’è canale di celeste forza'".
E la benedizione del Padre, che scende a ricompensare l’umile che in silenzio si immola per dare forza agli apostoli, scenderà anche sull’apostolo che sinceramente riconosce il soprannaturale e silenzioso aiuto, che a lui viene dall’umile, e il suo merito che la superficialità degli uomini non nota.
Imparate tutti.
È il mio prediletto? Sì. Ma non ha anche questa somiglianza con Me? Puro, amoroso, ubbidiente, ma anche umile. Io mi specchiavo in lui e vedevo in lui le virtù mie. Lo amavo perciò come un secondo Me. Vedevo in lui lo sguardo del Padre che lo riconosceva un piccolo Cristo. E mia Madre mi diceva: “In lui io sento un secondo figlio. Mi par di vedere Te, riprodotto in un uomo”.
Oh! La Piena di Sapienza come ti ha conosciuto, o mio diletto! E i due azzurri dei vostri cuori di purezza si sono fusi in un unico velario per farmi protezione d’amore, e un solo amore sono divenuti, prima ancora che Io dessi la Madre a Giovanni e Giovanni alla Madre. S’erano amati perché si erano riconosciuti simili: figli e fratelli del Padre e del Figlio».


Rif. Scuola di Comunità “Si può vivere così?” pag. 44, Cap. I – La Fede

+ Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 2, 1-11
2,1 Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». 5 La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».
6 Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7 E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. 8 Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo 10 e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». 11 Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.


Le nozze di Cana
Da Maria Valtorta, L'Evangelo come mi è stato rivelato, vol. I, cap. 52, ed. CEV.

Sera del 16 gennaio 1944. Le nozze di Cana.
Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale - un cubo bianco, più largo che alto, con rade aperture - sormontata da una terrazza che fa da tetto, recinta da un muretto alto circa un metro e ombreggiata da una pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre la metà di questa assolata terrazza. Una scala esterna si sale lungo la facciata sino all'altezza di una porta, che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di due per lato, che mettono in stanze basse e scure. La casa sorge in mezzo ad una specie di aia, più spiazzo erboso che aia, che ha al centro un pozzo. Vi sono delle piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non è sulla strada. È un poco dentro, è un viottolo fra l'erba l'unisce alla via che sembra una via maestra.
Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari e contadini, i quali vivono in mezzo al loro poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un bel sole e un azzurro tersissimo dicevo. In principio non vedo altro. La casa è sola.
Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da questa su un sentiero. Una e più anziana, sui cinquant'anni, è veste di scuro, un color bigio-marrone come di lana naturale. L'altra è vestita più in chiaro, una veste di un giallo pallido e manto azzurro, e sembra avere un trentacinque anni. È molto bella, snella, e ha un portamento pieno di dignità, per quanto sia tutta gentilezza e umiltà. Quando è più vicina, noto il color pallido del volto, gli occhi azzurri e capelli biondi che appaiono sotto il velo sulla fronte. Riconosco Maria Santissima. Chi sia l'altra, che è bruna è più anziana, non so. Parlano fra loro e la Madonna sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà l'avviso, e di incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste alle due e si fece a Maria Santissima.
L'ora pare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ancora quell'aspetto fresco delle prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde dell'erba e nell'aria non ancora offuscata da polvere. La stagione mi pare primaverile, perché i prati sono con erba non arsa dall'estate e i campi hanno il grano ancor giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della vite. Ma non vedo fiori sul melo e non vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha già fiorito, ma da poco, e i frutticini non si vedono ancora.
Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala esterna ed entra in un'ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.
Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispense, e ripostigli e le cantine, e questa sia l'ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali, o a lavori che richiedono molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole. Nelle feste allo svuotano da ogni impiccio e lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro bene è una molto ricca, con sopra giade e le anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra, rispetto nel riguardo, un'altra tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra, una specie di lunga credenza, con sopra piatti e formaggi e altri cibi che mi paiono focacce coperte di miele dolciumi. In terra, sempre presso questa parete, altre anfore e tre grossi vasi in forma di brocca di rame (suppergiù). La chiamerei giare.
Maria ascolta benignamente quanto tutti la dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlande di fiori, dando migliore aspetto alle frontiere, osservando che nelle lampade vi sia l'olio. Sorride e parla pochissimo e a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza.
Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno Maria, corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli amici, a fianco dello sposo che le è corso incontro per primo.
E qui la visione a un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. non so se sia Cana o altra borgata vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su questo secondo, sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco e da un manto azzurro cupo, sentendo rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un popolano e riferisce Gesù.
«Andiamo a far felice mia Madre», dice allora Gesù sorridendo. E si incammina attraverso i campi, cui due compagni, alla volta della casa. Mi sono dimenticata di dire chi ho l'impressione che Maria sia parente o molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in confidenza.
Quando Gesù arriva, il solito, messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al figlio sposo e da Maria, scende incontro Gesù e lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri due, e lo sposo fa lo stesso.
Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al figlio e viceversa. Non espansioni, ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: «La pace è con te» e un tale sorriso che vale cento abbracci e cento baci. Il bacio tremula sulle labbra di Maria, ma non viene dato. Soltanto Ella pone la sua mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo della sua lunga capigliatura. Una carezza da innamorata pudica.
Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del convito, dove le donne si danno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi sembra. Direi che era incerta la venuta di Gesù è assolutamente impreveduta quella dei suoi compagni.
Odo distintamente la voce piena, virile dolcissima del Maestro dire, nel porre piede nella sala: «La pace sia in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti». Saluto cumulativo a tutti presenti e pieno di maestà.
Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura tutti quanti. È l'ospite, e fortuito, ma pare il re del convito, più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è colui che si impone.
Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più influenti. I due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.
Gesù ha le spalle voltate alla parete dove sono le giare e le credenze. Non la vede perciò, e non vede neppure l'affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti, che vengono portati da una porticina che si apre presso le credenze.
Osserva una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel tavolo. Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all'altra tavola contro la parete, e vengono servite dopo che sono stati serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed ha di fronte Maria, la quale siede a fianco della sposa.
Il convito comincia. E le assicuro che l'appetito non manca e neanche la sete. Quelli che lasciano poco un segno sono Gesù e sua Madre, la quale, anche, parla pochissimo. Gesù parla un poco di più. Ma, per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato né sdegnoso. È un uomo cortese ma non ciarliero. Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il suo parere, ma poi si raccoglie in Sé come un abituato a meditare. Sorride, non ride mai. E, se sente qualche scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e così Giovanni, è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.
Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa c'è di spiacevole. «Figlio», dice piano, richiamando l'attenzione di Gesù con quella parola.«Figlio, non hanno più vino».
«Donna, che vi è più fra Me e te?». Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e sorride Maria, come due che sanno una verità che è loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.

Gesù mi spiega il significato della frase.
«Quel "più", che molti traduttori omettono, è la chiave della frase e la spiega nel suo vero significato.
Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la volontà del Padre mio mi indicò essere venuta l'ora di essere il Maestro. Dal momento che la missione ebbe inizio, non ero più il Figlio soggetto alla Madre, ma il Servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia Genitrice. Essi si erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello spirito. Quello chiamava sempre "Mamma" Maria, la mia Santa. L'amore non conobbe sosta, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto come quando, separato da Lei come per una seconda affiliazione, Ella mi dette al mondo per il mondo, come Messia, come Evangelizzatore. La sua terza sublime mistica maternità fu quando, nello strazio del Golgota, mi partorì alla Croce facendo di Me il Redentore del mondo.
"Che vi è più fra Me e te?". Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero "soggetto". Ora sono della mia missione.
Non l'ho forse detto? "Chi, messa la mano all'aratro, si volge indietro a salutare chi resta, non è adatto al Regno di Dio". Io avevo posto la mano all'aratro per aprire col vomere non le glebe, ma i cuori, e seminarvi la parola di Dio. Avrei levato quella mano solo quando me l'avrebbero strappata di là per inchiodarmela alla croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del Padre mio, facendolo uscire il perdono per l'umanità.
Quel "più", dimenticato dei più, voleva dire questo: "Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui unicamente il Gesù di Maria di Nazaret, e tutto mi sei nel mio spirito; ma, da quando sono il Messia atteso, sono del Padre mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come quando ero bambino, e nessuno te lo contenderà più, questo tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell'umanità, che te ne getterà la spoglia per coprire te pure dell'obbrobrio d'essere madre di un reo. E poi mi avrai di nuovo, trionfante, e poi mi avrai per sempre, trionfante e tu pure in Cielo. Ma ora sono di tutti questi uomini. E sono del Padre che mi ha mandato ad essi".
Ecco quel che vuol dire quel piccolo e così denso di significato "più"».

Maria ordina ai servi: «Fate quello che Egli vi dirà». Maria ha letto negli occhi sorridenti del Figlio l'assenso, dell'atto dal grande insegnamento a tutti i "vocati". E ai servi: «Empite d'acqua le idrie», ordina Gesù.
Vedo i servi empire le giare di acqua portata dal pozzo (odo stridere la carrucola che porta su e in giù il secchio gocciolante). Vedo il maggiordomo mescersi un poco di quel liquido con occhi di stupore, assaggiarlo con atti di ancor più vivo stupore, gustarlo e parlare al padrone di casa e allo sposo (erano vicini). Maria guarda ancora il Figlio e sorride; poi, raccolto un sorriso di Lui, china il capo arrossendo lievemente. È beata.
Nella sala passa un sussurrio, le teste si volgono tutte verso Gesù e Maria, c'è chi si alza per vedere meglio, chi va alle giare. Un silenzio, e poi un coro di lodi a Gesù.
Ma Egli si alza e dice una parola: «Ringraziate Maria», e poi si sottrae al convito. I discepoli lo seguono. Sulla soglia ripete: «La pace sia a questa casa e la benedizione di Dio su voi», e aggiunge: «Madre, ti saluto».
La visione cessa.

Gesù mi istruisce così:
«Quando disse discepoli: "Andiamo a far felice mia Madre", avevo dato alla frase un senso più alto di quello che pareva. Non la felicità di vedermi, ma di essere Lei l’iniziatrice della mia attività di miracolo e la prima benefattrice dell'umanità. Ricordatevelo sempre. Il mio primo miracolo è avvenuto per Maria. Il primo. Simbolo che è Maria la chiave del miracolo. Io non ricuso nulla alla Madre mia, e che la sua preghiera anticipo anche il tempo della Grazia. Io conosco mia Madre, la seconda in bontà dopo Dio. So che farvi grazia è farla felice, poiché è la Tutta Amore. Ecco perché dissi, Io che sapevo: "Andiamo a farla felice".
Inoltre ho voluto rendere manifesta la sua potenza al mondo insieme alla mia. Destinata ad essere a Me congiunta nella carne - poi che fummo una carne: Io in Lei, Lei intorno a Me, come petali di giglio intorno al pistillo odoroso e colmo di vita - congiunta a Me nel dolore, poi che fummo sulla croce Io con la carne e Lei col suo spirito, così come il giglio odora e con la corolla e con l'essenza tratta da essa, era giusto fosse congiunta a Me nella potenza che si mostra al mondo.
Dico a voi ciò che dissi a quei convitati: "Ringraziate Maria. È per Lei che avete avuto il Padrone del miracolo e che avete le mie grazie, e specie quelle di perdono".
Riposa in pace. Noi siamo con te».


Luigi Giussani, L’itinerario della Fede, All’origine della pretesa cristiana, Capitolo VI, La Pedagogia di Cristo nel rivelarsi, firme Oro, Rizzoli, 2007, pagg. 253 e segg.

“L’eccezionalità del comportamento di Gesù era tale che anche l’evidenza del suo contesto familiare, della sua storia personale non valeva più a definirlo. E così emergeva quella domanda «Chi è mai costui?»…l’interrogativo dei discepoli riecheggiava sulla bocca degli avversari di Gesù verso la fine della sua vita, quando anch’essi sono costretti dai fatti a chiedere: «Fino a quando ci terrai con il fiato sospeso? Dicci da che parte vieni, chi sei?». È la stessa richiesta dei discepoli in chiave opposta: ostile, rabbiosa; mentre per i primi è in chiave di stupore”.

La Storia del re del Portogallo
“Si può immaginare una piccola storia…Figuriamoci un paesino di montagna, alcuni decenni fa. Un’unica mulattiera unisce il villaggio al paese più grande, giù a fondovalle. Non c’è un medico stabile, ma c’è il comune, con un Sindaco. Tutti vivono del bosco, qualche gallina, qualche mucca, nessun nesso col mondo. Un paesino chiuso, degradato. Nell’unica casa un po’ bella del paese una famiglia venuta dalla città viene a stabilirsi. Un signore e una signora molto distinti, due bambini. Sono gentilissimi, ma tutto il villaggio si ritrae di fronte a loro. Li spiano dalle fessure delle persiane quando passano, nell’unica botteguccia del paese non accettano alcun tipo di conversazione, nessuno li saluta. Accade un giorno che un abitante del paese si infortuna gravemente. La signora è medico e si adopera in tutti i modi fino alla sua completa guarigione. Così il ghiaccio si rompe e via via, molto lentamente, si crea non tanto un affiatamento a parole, ma un affiatamento pratico. Anche lui si rende disponibile ad ogni necessità: un camino si rompe, un macchinario da riparare…quel signore di città sa sempre come intervenire. «Sarà un ingegnere», dicono tra loro in paese. Lui la sera andava sempre nell’unica osteria del villaggio dove gli uomini giocavano a carte avvolti in una nuvola di fumo. E, dapprima, se ne stava lì a guardare, poi, nell’impaccio generale chiede di poter giocare anche lui, e gli uomini del paese scoprono che è anche un ottimo giocatore. Insomma, dopo qualche settimana quella era la famiglia più amata del paese. Una domenica, mentre stavano giocando a carte, si interrompe per raccontare di quando aveva viaggiato nella Terra del Fuoco e tutti se ne stanno lì con le carte in mano e la pipa in bocca ad ascoltarlo, perché parlava in modo affascinante, sapeva una infinità di cose. A un certo punto il più vecchio di tutti tira fuori la pipa dalla bocca, mette giù le carte e dice: «Senti, tu devi rispondere alla nostra curiosità. Molti fra noi dicono che sei un ingegnere, molti dicono che sei uno scienziato, altri dicono altre cose. Ma tu chi sei? Come fai ad essere così bravo in tutto, a sapere tante cose?». Allora lui dice: «Amici, adesso che siamo veramente in confidenza ve lo posso dire. Però non dovete tradirmi, perché per una serie di ragioni la mia posizione è delicata nei confronti della legge, e se si sapesse che sono qui mi arresterebbero subito. Io sono il re del Portogallo in esilio». A nessuno lì nell’osteria viene in mente di mettere in dubbio questa risposta: era evidente che le risposte che avevano tentato di scovare loro erano molto meno esplicative dell’insieme del personaggio di quanto aveva dichiarato lui. La sua risposta, inimmaginabile, s’addiceva al suo tipo di persona, all’evidenza che lui emanava, molto più delle loro ipotesi….

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La storia immaginata prima puntualizza anche analogicamente l’avversione che nace di fronte a qualcuno che in qualche modo metta in atto la centralità di una pretesa.
Un giorno, infatti, dopo che «il re del Portogallo» si fu amorevolmente imposto ai paesani, arriva un’automobile della polizia in paese, e lui viene portato via. Era stato tradito. Da chi? Dal sindaco. Ma come? Mai il sindaco era stato rispettato ed onorato quanto nel mese della permanenza di quel signore! Eppure il sindaco sentiva, e non lo accettava, che il centro del paese non era più lui, constatava di essere stato scalzato come punto di riferimento e padrone del villaggio.
Un meccanismo molto simile si è innescato per ciò che riguarda le reazioni alla persona di Gesù. Proprio per quel suo modo di proporsi comincia a nascere verso di lui un’ostilità, quando, cioè egli prende a manifestare la propria presenza come pretesa di significato decisivo e di potere determinante nell’ambito della libertà della gente…
Per riconoscere tale pretesa, chi ascolta deve rinunciare a se stesso, deve sacrificare l’autonomia del proprio criterio, in un modo così sensibile come può avvenire soltanto nell’amore. Se questa rinuncia a sé è rifiutata, si desta un’avversione radicale, profonda, che cercherà in tutti i modi di giustificarsi.

domenica 3 febbraio 2008

Scuola di Comunità pagg. 27-72; scheda a cura di Giorgio Razeto

Si può vivere così?
Uno strano approccio all'esistenza cristiana (continua I Capitolo - La Fede)
Un metodo fondamentale per la cultura e la storia (pag. 27)
I. la cultura, la storia e la convivenza umana, si fondano su questo tipo di conoscenza che si chiama fede (conoscenza indiretta, conoscenza di una realtà attraverso la mediazione di un testimone)
"... Togliete questa conoscenza per mediazione, dovete togliere tutta la cultura umana, tutta, perché tutta la cultura umana si basa sul fatto che uno incomincia da quello che ha scoperto l'altro e va avanti..."
Una premessa decisiva (pag. 28)
I. l'oggetto di tutto ciò che approfondiremo è il campo della fede, è la realtà guardata e vissuta nella Fede
"... parlare di Cristo, dell'anima, del destino, del Mistero, è parlare di fede. Il contenuto di tutto quello che diremo non si vede, eppure si può conoscere attraverso una testimonianza, attraverso dei testimoni..."
II. la parola fede sarà sviluppata al livello più importante: quello del destino
"... quello che ci interessa nel dialogo tra noi è il destino tuo e mio e suo e dell'altro e dell'altro. Il destino che lo vede? Chi ha visto? Chi ha preso l'ombrello perché pioveva e, andando sul marciapiede col soprabito nuovo, bianco, di quelli lisci incontra a un certo punto, dopo 34 passi, il destino? Non lo può trovare! Il destino non lo puoi vedere. Il destino è per sua natura Mistero..."
III. il metodo della fede è quello in cui la ragione è più esaltata,
A. perché per fidarsi uno deve impegnare tutto se stesso (ragione, occhi, cuore, tutto)
1. il metodo della fede implica una ragione più completa, una ragione in tutti i suoi nessi con gli altri aspetti della personalità
2. per questo, la persona più unita, che vive tutti gli aspetti della personalità, fa molto meno fatica a capire se fidarsi dell'altro o no
"... chi invece è patologico non si fida mai di nessuno, non riesce a fidarsi più di niente, si taglia via dalla vita...".
B. al di fuori della fede, la ragione è impegnata in modo parziale, in relazione ad un tipo di oggetto
"...un uomo che sappia tutto sulla mosca e faccia sulla mosca un librone di 1500 pagine... e di sua moglie non capisce un'acca - e i suoi figli lo odiano tanto li tratta male -, è un pover'uomo, non un Premio Nobel... lui è acutissimo in un segmento della realtà... la mosca... su questo sa tutto, ma non sa niente del suo destino né della situazione altrui. È un povero disgraziato, pur essendo un Premio Nobel..."
IV. parleremo
A. di fede come riconoscimento di un contenuto invisibile della realtà
B. di come questo contenuto è raggiunto attraverso la ragione, attraverso il metodo della fede, la testimonianza
V. un'osservazione capitale: quanto più uno è morale, tanto più è capace di fidarsi; quanto meno uno è morale, tanto meno è capace di fidarsi
nel testo L. Giussani, Il senso religioso, in L'itinerario della fede, Firme oro, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 32, si definiscono valori morali, quelli che riguardano l'umano comportamento nel suo aspetto di significato (se tu ti puoi fidare di quell'uomo o no; fino a quale punto gli puoi far credito; che cosa puoi valorizzare di un altro; se la tal persona è leale o no). Più avanti, a pag. 46, si afferma che la moralità consiste in una posizione giusta del cuore: l'amore alla verità dell'oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso.
"il Signore ha dato un esempio, un paradigma di questo atteggiamento di amore alla verità: "Se non sarete come bambini non entrerete nel regno dei cieli". Non è un ideale di infantilismo che ci ha proposto, ma di sincerità attiva di fronte al reale, di fronte all'oggetto che si prende in considerazione. "Ma..., se..., però..."; dicono "pane al pane e vino al vino", o come disse ancora Cristo: "il vostro dire sia 'sì', ' no'; ogni altra posizione viene dalla menzogna".
Invito alla preghiera (pag. 32)
I. bisogna pregare Dio
A. per essere veramente morali: per dir di sì a ciò che è positivo e dir di no a ciò che è negativo
B. perché l'uomo è cattivo, ed essendo cattivo dice di no anche all'evidenza
C. il capriccio è la posizione con cui gli uomini stanno di fronte alla vita nel suo significato cioè davanti al destino
"Un bambino che fa i capricci, gli metti sotto il naso un bicchiere e gli dici: "È un bicchiere, vero? Carlino, dì che è un bicchiere. È un bicchiere questo qui?". "No!" "È un bicchiere?" Dice di no, perché è capriccioso"
II. Giussani è un testimone così come tutti i compagni di cammino più grandi
III. con la fede, fidandosi di questi testimoni, si arriva al vero; altrimenti non si arriverebbe mai ad affermare con certezza
IV. poiché è in gioco il destino, non giungere mai al significato, vuol dire distruggere la vita
Ripresa di pensieri (pag. 33)
I. il lavoro è l'espressione dell'uomo
"esso rappresenta il rapporto attivo che c'è tra me che vivo, immagino, penso, sento, e faccio in base a quello che penso e sento, e la realtà, per cui l'uomo usa la realtà, usa il tempo e lo spazio e crea la sua vita. In base a quel che crea sarà giudicato".
II. la parola destino domina la vita e non c'è nessuno che ci pensi
"Non c'è nella settimana, che è la misura fondamentale del lavoro cioè dell'espressività della persona, un minuto consegnato a pensare al proprio destino, a ciò per cui si lavora e quindi per cui si vive... si soffre, si gioisce, si usano le cose e si crea quello che sembra più giusto, più piacevole".
III. il contenuto della strada che si percorrerà è il timore e tremore per il destino, è il desiderio del destino e dell'attesa di un destino gioioso
IV. ciò che determina la preghiera è la passione e la preoccupazione per il proprio destino
V. bisogna stare attenti nella preghiera
"perché c'è sempre qualche parola o qualche espressione su cui l'animo può fermarsi a pigiarne il senso... c'è una parola che ti colpisce più delle altre..."
VI. Giussani, nell'Ora Media, è colpito dalla parte del salmo che recita "Beato e fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore"
A. beato vuol dire lieto: ha l'animo diverso da come tutti vivono
B. i suoi insegnamenti sono l'ordine della realtà
C. "beato chi è fedele" indica chi aderisce alle cose come naturalmente, cioè originalmente, cioè divinamente sono impostate
D. beato chi cerca con tutto il cuore quest'insegnamento, questo significato delle cose
E. "Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via"
1. cose vane: l'aspetto effimero e perciò ingannevole delle cose
2. vivere sulla tua via: rendimi sempre più fedele alle cose come le hai fatte Tu
VII. le meditazioni che faremo
A. corrispondono a queste due domande
B. vogliono essere un aiuto alla letizia del nostro vivere (questo sarà anche un sintomo della giustezza del nostro modo di seguire)
2. La dinamica della fede (pag. 37)
I. la fede
A. è un metodo di conoscenza della ragione
B. un metodo di conoscenza indiretto perché è mediato dal fatto che la ragione si appoggia a un testimone
C. è il più importante di tutti i metodi della ragione perché impegna tutto l'uomo
"molto più dell'evidenza che si basa sui sensi è molto più della scienza che si basa sull'analisi e sulla dialettica... per fidarsi... occorre impegnare tutta la lealtà della propria persona, occorre applicare lacune dell'osservazione, occorre implicare una certa dialettica, occorre una sincerità del cuore, occorre che l'amore alla verità più forte che non l'antipatia... occorre un amore alla verità... è tutta la persona che viene impegnata..."
D. è il metodo più dignitoso, più prezioso, perché lo sviluppo della convivenza come esistenza della società,una società piccola come la famiglia o la società nella sua totalità non potrebbe esserci senza la fede
"Se tutti noi non ci fidassimo uno dell'altro cosa succederebbe? Di fatto laddove manca la naturalità di queste cose vanno in giro con i coltelli, con le pistole: nessuno può fidarsi più di nulla"
E. la convivenza, la storia, la cultura sono tutte basate su questo metodo: sul metodo della fede
"La cultura è lo sviluppo della conoscenza, ma tu sviluppi la conoscenza se, fidandoti della scoperta che ti è data da chi ti precede, aggiungi la tua scoperta, e chi viene dopo di te, fidandosi di quel che gli dai tu, aggiunge la sua scoperta"
II. la sorpresa più grossa è sentir parlare della fede come l'aspetto più importante nell'uso della ragione
A. perché su di esse è fondata la convivenza, la storia, la cultura
B. ma prima ancora perché tale metodo implica l'impegno della totalità della persona
La credibilità del testimone (pag. 39)
I. l'unico vero problema è questo: quando uno si può fidare del testimone?
A. si può aver fiducia irragionevolmente oppure ragionevolmente, in modo ingiusto o in modo giusto
B. è giusto fidarsi di una persona quando sono sicuro che
1. sa quel che dice
2. e non mi vuole ingannare
II. quando uno raggiunge la certezza su una persona, allora logicamente deve fidarsi
"Per raggiungere questa certezza, se aveste studiato Scuola di Comunità, vi ricordereste della terza premessa, quella che parla della moralità. Se uno è morale raggiunge questa certezza, se uno non è morale non raggiunge mai la certezza, oppure raggiunge la certezza in modo irragionevole, si fida di chi non si deve fidare".
III. la fiducia è un problema di coerenza con una evidenza della ragione
A. raggiunta direttamente
B. o indirettamente, attraverso il testimone, subito o in seguito a una convivenza
"Per esempio: sali in treno, non sai mai chi trovi in treno; ci sono lì tre persone in uno scompartimento e tu stai zitto, attento al tuo portafoglio e zitto. Poi si comincia a parlare e capisci che sono tre persone buone, tre persone del popolo, buone, e tu ti fidi e dici: "Vado via un momento" e lasci lì il tuo pacchetto con i soldi. E infatti torni indietro e lo trovi...anche perché non c'è stata nessuna fermata!"
L'inizio di un fatto nuovo nel mondo (pag. 42)
I. Cristo si conosce per mezzo del metodo della fede (Cristo, infatti, non lo conosciamo direttamente, né per evidenza, né per analisi dell'esperienza)
A. il problema della fede è entrato nel mondo come metodo della ragione applicato a qualcosa di sopra ragionevole, di impensabile, di inconcepibile
"Giovanni battista ha visto un uomo andar via e improvvisamente illuminato dallo spirito... si mise a gridare: «Ecco l'Agnello di Dio. Ecco Colui che toglie i peccati del mondo»... due che erano lì hanno visto l'uomo verso cui lui tendeva la mano e allora si sono allontanati anche loro e hanno seguito, pedinato quest'uomo... quello lì si è sentito pedinato, si è voltato indietro. «Cosa volete?» «Maestro, dove stai di casa?» «Venite a vedere.» E così quei due sono stati tutto il pomeriggio sentendolo parlare, vedendolo parlare, perché non capivano niente di quel che diceva, ma il modo con cui diceva era così persuasivo, era così evidente che quell'uomo diceva la verità... Sono andati via e alla prima persona che hanno trovato hanno detto: «Abbiamo trovato il Messia»; hanno ripetuto una sua parola di cui non capivano veramente il senso, ma comunque, essendo esso già anche nell'orecchio della gente, hanno ripetuto le sue parole".
B. la certezza della fede, ad ogni miracolo, nella convivenza diventa sempre più grande fino a costituire il fondamento della vita
"Il secondo capitolo del Vangelo di Giovanni termina dicendo: «Di fronte a quel miracolo, credettero in Lui i suoi discepoli»; era il miracolo del cambiamento dell'acqua in vino. Ma come, non hanno già creduto nel capitolo precedente? E infatti questo è un ritornello che continua nel Vangelo: quando c'è un grosso miracolo, ecco il ritornello che riprende: «Credettero in Lui i suoi discepoli». Molto giustamente questa ripetizione non solo non è inutile, ma conferma la verità di quello che si sta dicendo, di quello che il Vangelo dice, perché è il gioco dell'approfondimento della certezza in noi".
II. la prima caratteristica della fede cristiana è che parte da un fatto, un fatto che ha la forma di un incontro
III. La seconda caratteristica è l'eccezionalità del fatto. Una presenza eccezionale
A. quando qualcosa corrisponde al criterio per cui si vive e si giudica tutto, all'«esperienza elementare», alle esigenze più profonde del cuore, allora è eccezionale
"Trovare un uomo eccezionale vuol dire trovare un uomo che realizza una corrispondenza con quel che desideri, con l'esigenza di giustizia, di verità, di felicità, di amore... che dovrebbe essere una cosa naturale, ma non capita mai, è impossibile, è inimmaginabile".
B. eccezionale equivale a divino, perché la risposta al cuore è Dio
IV. la terza caratteristica della fede cristiana è lo stupore, di fronte all'eccezionalità della Presenza; lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta
"il fatto da cui parte la fede in Cristo, l'incontro da cui parte la fede di Giovanni e di Andrea - dando loro un'impressione assolutamente eccezionale, perciò il presentimento di qualche cosa di sovrumano, mai immaginato inimmaginabile - ha destato in loro un grande stupore"
A. episodio della guarigione del paralitico (Matteo 9, 2-7; Marco 2, 1-12; Luca 5, 18-26)
B. la tempesta sedata (Matteo 8, 23-27; Marco 4, 37-41)
V. lo stupore è sempre una domanda, almeno segreta, per cui il quarto fattore della fede cristiana è la domanda: «Chi è costui?»
" Qui si pone il problema della fede, la risposta alla domanda è la risposta di fede: uno dice di sì e l'altro no"
A. Gesù appare in ogni circostanza un essere superiore a ogni altro; c'è in lui qualcosa, un «mistero»
B. dall'eccezionalità di Gesù nasce la domanda «Chi è costui?»; la domanda mostra che ciò che Egli sia in realtà non lo si può dire da soli
C. le differenti risposte alla domanda dipendono dall'impegno con Lui, dalla convivenza sistematica con Lui (un caso di certezza morale)
sul metodo della certezza morale: cfr. L. Giussani, Il senso religioso, in L'itinerario della fede, Firme oro, Rizzoli, Milano, 2007, pagg. 31-36; L. Giussani, All'origine della pretesa cristiana, in L'itinerario della fede, Firme oro, Rizzoli, Milano, 2007, pagg. 248-251
1. la folla, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, vuole farlo re (Giovanni, 6, 5-15)
2. i giudei, i farisei (gli intellettuali, giornalisti), quando Gesù dichiara che darà la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere, dicono che è matto (Giovanni, 6, 48-58)
3. tutti lo abbandonano, solo i discepoli restano: sulla base della convivenza con Gesù, pur non comprendendo, dovevano fidarsi delle sue parole (Giovanni, 6,59- 69)
" Allora Pietro - e questo è il punto che sintetizza, come dicevo prima, tutto questo drammatico posto di Cristo e il sorgere della fede del mondo, questo è il momento in cui sorge la fede in Cristo nel mondo e durerà fino alla fine del mondo - Pietro, Simon Pietro, con la solita irruenza dice: «Maestro, anche noi non comprendiamo quel che dici, ma se andiamo via da te, dove andiamo? Tu solo hai parole che spiegano la vita. È impossibile trovare uno come te. Se non deve credere a te, non posso più credere ai miei occhi, non posso più credere in niente». È la grande, vera, reale alternativa: o il niente in cui tutto va a finire... oppure quell'uomo lì ha ragione, è quello che dice di essere"
VI. quinta ed ultima caratteristica della fede: la responsabilità di fronte al fatto, la risposta
A. la caratteristica suprema dell'atto umano, soprattutto quando l'uomo sta di fronte al suo destino, è la libertà
"Di fronte a questo in cui tutto è così chiaro - «Se non credo a Te non credo ai miei occhi», questa è la sostanza della posizione di San Pietro - di fronte alla domanda «Chi è Costui?» e di fronte alla risposta che Pietro dà, uno può dire e sì o no: aderire a quello che dice Pietro oppure andar via come sono andati via tutti gli altri".
B. l'unica cosa razionale è il sì, perché la realtà che si propone corrisponde alla natura del nostro cuore, alla sete di felicità, alla natura del nostro io, all'esigenza di verità, più di qualsiasi nostra immagine
C. il no non nasce da ragioni ma da uno scandalo
1. lo scandalo, che vuol dire inciampo, è una forma di menzogna che si chiama preconcetto
2. Cristo è contrario a ciò in cui uno ripone la sua speranza (inutilmente, perché non c'è nessuna speranza che poi accada)
"... detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". Il morto uscì con i piedi e le mani avvolti in bende e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: "Scioglietelo e lasciatelo andare". Molti dei giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quello che aveva compiuto, credettero in Lui. Ma alcuni corsero dai farisei a Gerusalemme (Giovanni 11,38-48)... Molti dei giudei credettero di Lui e alcuni corsero ad accusarlo: lo stesso fatto eccezionale, lo stesso incontro eccezionale in molti diventa si è in alcuni diventa no. Non c'è ragione: non dicono «è un'illusione»... no, no, no, corsero ad accusarlo: il no nasce sempre dal preconcetto, dal fatto che Gesù diventa scandalo, impedimento a quello che vorresti".
La Fede – Assemblea (pag. 58)
I. per fare l'assemblea si fanno domande
A. riferendo cose che si sono sentite
B. esplicitando sentimenti che si sono provati
II. in questo modo si evitano due cose
A. che si legga credendo di capire
B. l'artificio dell'astratto (il parlare astratto, ché è quasi uguale al parlare a vanvera)
C. le parole che ci diciamo, che abbiamo imparato o sentito da Cristo, direttamente o attraverso la Chiesa, c'entrano con quello che viviamo, con la vita, si rivolgono al cuore, che è il luogo proprio della ragione
"La ragione sta dentro il cuore altrimenti e un aquilone, come l'aquilone di Pascoli che se ne vola via..."

L'aquilone di Giovanni Pascoli
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:

un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! E' questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla
lassù, lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?

Sono le voci della camerata mia:
le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! E te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.

Sì: dissi sopra te l'orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!

Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre...

adagio, per non farti male.


III. è importante studiare a memoria
"Studiare a memoria vuol dire immedesimarsi, rendere parte di sé, parte del proprio sangue un'esperienza grande e grandemente umana ed espressa con una bellezza a noi ignota; vuol dire parteciparvi"
IV. la differenza tra l'eccezionale e l'emozionante
A. eccezionale
1. è l'esperienza di una corrispondenza di quello che incontri con le esigenze del tuo cuore
"...una corrispondenza eccezionale rispetto ai rapporti soliti. Ma quanto più è eccezionale, tanto più è impensabile e ti fa restare pieno di stupore: è lo stupore della verità, veritatis splendor, lo splendore della verità che ti rende pieno di stupore..."
2. l'eccezionalità ha qualcosa che non c'è nell'emozione: il giudizio, il paragone fra i criteri del nostro cuore e la realtà in cui ti imbatti
B. l'emozione
1. è la reazione psicologica a qualcosa che incontri
2. è una cosa che chi avviene, che provi
V. la corrispondenza è un giudizio che paragona la realtà in cui ti imbatti e che genera un'emozione, cioè una reazione psicologica o psichica, con le esigenze del cuore, di felicità, di verità, di bellezza, di bontà
A. i criteri, le esigenze
1. sono sempre ben chiari
2. indicano il rapporto con il destino, il rapporto con Dio
B. il giudizio è l'applicazione dei criteri all'oggetto che ti crea un'emozione
"Cosa vuol dire giudizio? Tu sei innamorato, ti sei innamorato della segretaria, come può capitare a tanti, come, specialmente adesso, capita a tutti: questo corrisponde al disegno che Dio ha fatto sulla tua vita e, perciò, corrisponde al cammino della felicità tua o no? Vediamo: sei sposato, tanto che hai una bambina, perciò si abbandoni tua moglie tua figlia tradisce il compito che Dio ti ha dato, perciò non sei più sulla strada della felicità. E nonostante che sempre felicità per te scappare con la segretaria, nonostante che ti sembri più felicità quella, è il contrario, ti porta all'opposto: sei pazzo".
C. occorre che l'emozione sia giudicata: l'emozione eretta a criterio di azione, senza giudizio è il motivo addotto per commettere tutti gli errori che fanno gli uomini in questo mondo
D. se vai contro le esigenze del cuore, vai contro il disegno di Dio, vai contro la strada al destino, contro la tua vita
"La strada destino non è descritta né, tantomeno, salvata dall'innamoramento che quel povero disgraziato ha avuto per la segretaria, ma dal fatto dell'essere fedele a sua moglie e alla sua bambina, cioè alla vocazione al compito che Dio gli aveva dato. Sarebbe stato un sacrificio grandissimo, pensa che sacrificio sarebbe stato per quell'uomo tranciare l'esigenza di scappare con la segretaria per stare con la moglie e la bambina. È un sacrificio fino a morirne... si deve fare fino a morirne, perché «che cosa vale se prendi tutto quello che vuoi e per di te stesso?» diceva Gesù... è il Vangelo che dice questo: «Chi vuole la sua vita, la perderà», chi è attaccato alla sua mozione, al suo modo di sentire, si perderà".
VI. Cosa vuol dire che il sì che dico a Cristo implica la totalità della mia persona?
A. per vedere Cristo in ogni cosa, perché diventi habitus, abitudinario, il percepire in tutte le cose la presenza del Mistero che è diventato un uomo di carne ossa e perciò la presenza di Cristo, bisogna compiere un lungo cammino: si tratta di cominciare
B. l'inizio è domandare, al mattino, di pensare il più spesso possibile durante la giornata a Cristo
"Cosa vorrà dire pensarlo spesso? Pensarlo: per esempio, immaginandoti di essere come Giovanni Andrea di fronte a quell'uomo che parla; oppure giudicando quel che devi giudicare, e comportamento degli altri, dal fatto che Dio è diventato presenza, che è presente a te, che è presente a tutti e nessuno lo sa. E ti viene il magone a pensare che nessuno lo sa. E questo con il tempo rende maturi in tutto".
1. occorre recitare l'Angelus quando ti svegli perché ricorda il punto in cui tutto è cominciato
"Dite bene l'Angelus: «Mi accada secondo la Tua parola»: nei rapporti con tutti gli uomini la al lavoro, nel rapporto con tutta la gente che vedrò sul tramvai o in strada, i rapporti con le cose, con la pioggia che secca o un sole che troppo caldo... bisogna domandare".
C. dobbiamo abbordare questo "altro mondo" di cui viviamo, per cui siamo uomini, sorgente della felicità, della pace, dell'attrattiva e della creatività
D. Dio ci ha spinti davanti alla soglia di questo mondo: bisogna oltrepassare questo confine ed entrare: vivere è entrare dentro questo vero mondo
"... Le cose diventano cento volte più belle. Così, la ragazza a cui vuoi bene è fatta di un Altro, è fatta di Cristo - «Tutto in lui consiste» -, le montagne, il corpo di questa ragazza è fatto di una Altro perché da sola sarebbe nulla, nulla".
E. c'è un aiuto umano: la compagnia fatta di persone chiamate a cercare come te
"... quella compagnia è l'unica realtà veramente umana, totalmente umana, che esista al mondo. Tutto il resto del mondo è umano come una grande ferita che gridi di essere rimarginata, una grande solitudine che esiga di essere sorpresa da una illuminazione, da una protezione che venga da altri come sé. Allora il compagno diventa veramente un altro sé e nasce tra gli estranei come noi un'affezione più grande di quella che si ha per il padre e la madre, fino all'emozione. Perché il giudizio di corrispondenza matura fino a identificarsi con l'emozione... più grande di quella che hai per tuo padre e tua madre...non perché dimentichi tuo padre e tua madre, ma perché impari a capire che l'importanza di un tuo padre e tua madre è che hanno in qualche modo collaborato a questa strada - per esempio facendo ti nascere - così che se fossero (scusate l'ipotesi),2 delinquenti, gli anni con i tuoi compagni. Altro!"
VII. Il riconoscimento della corrispondenza
A. non può mai coincidere con la diminuzione del tuo dovere: il tuo lavoro devi farlo tutto
B. è una cosa che si insinua mentre lavori, nel tempo diventerà abituale
"Come prendendo il bicchiere per bere vedo con la coda dell'occhio che a destra c'è, imponente, Carlo, così Cristo diventa una presenza come nella coda dell'occhio, una presenza continua... ma col tempo".
C. la corrispondenza deve essere totale, sfida la totalità, oppure non è
"... nessuno ve lo ricorda, nessuno; ce l'hanno dentro soltanto vostro padre e vostra madre. Quando un uomo una donna diventano padre e madre hanno dentro - senza che se ne accorgono, senza pensarci neanche - hanno dentro la passione per il destino del bambino a cui danno vita: non se ne accorgono neanche, però c'erano dentro. Tant'è vero che se il figlio o la figlia decidono una strada che è contraria a quella che prevedevano loro, cedono soltanto di fronte ad una cosa, alla felicità del figlio. Tanto è vero che se vedono che il figlio è contento, prima resistono, resistono, resistono, ma poi a un certo punto cedono: sarà una bella festa quando cedono!"
VIII. lo stupore, la domanda profonda che è la caratteristica della fede
A. lo stupore viene prima della domanda
B. non puoi fare una domanda se non sei attratto: c'è qualcosa che ti attira, allora tendi. Tendere vuol dire domandare
"Giovanni Andrea non lo conoscevano, mai conosciuto. Gli vanno dietro con timore e stanno là tutto il pomeriggio a vederlo parlare, perché non capivano neanche bene quel che dicesse... Riferitevi sempre lì: in Andrea e Giovanni, vedendo parlare a quell'uomo - e quanto più parlava, tanto più questo avveniva - era naturale desiderio di conoscerlo, di stare con Lui, di sentirlo ancora parlare. E questo desiderio era una domanda, era come una domanda; veniva in loro la domanda: «Farci stare con te, continua a parlare, parlaci sempre». Tant'è vero che a un certo punto, nella sinagoga di Cafarnao, Simone l'ha detto chiaramente con quella frase che rimane per tutta la storia: «Se andiamo via da te, dove andiamo? Tu solo hai parole che spiegano la vita»".
IX. Fede e incontro
A. l'incontro è lo strumento, il fenomeno per cui ti accosti alla fede
B. la fede è riconoscere che è presente nel mondo e nella storia del mondo Dio fatto carne, fatto uomo, costituito cioè fattore di essa, fattore della storia, fattore della realtà presente
"La fede è questa. Quando Gesù disse al padre dell'epilettico: «Se credi, tuo figlio può essere salvato», lui rispose con la più bella frase con cui avrebbe potuto rispondere: «Credo, Signore, aiuta la mia incredulità», affermando nello stesso tempo la sua volontà di credere, l'evidenza che c'erano motivi per credere, e l'umiltà della sua debolezza. E Gesù davanti a queste cose... era finito!"
C. il modo con cui la fede nasce ragionevolmente è un incontro fra la coscienza - intelligenza, sensibilità e affettività - dell'uomo e una Presenza umana eccezionale
"...la grande Presenza palesa se stessa come sorgente di una eccezionalità, di una grandezza di efficacia che era assolutamente insospettabile. Così che l'uomo dice quello che hanno detto gli apostoli: «Se non crediamo in questo uomo, non possiamo più credere neanche i nostri occhi»"
X. note di metodo
A. bisogna leggere, rileggere, parlare, riparlare, dieci, cento volte queste cose perché diventino mens, misura di tutto, mentalità
B. bisogna rifare il cammino, capire i nessi, ripassare i rapporti tra parola e parola, in modo che sia chiaro
C. altrimenti si rimane schiavi della mentalità comune
D. la recita al mattino dell'Angelus è come una spada e farà una crepa dentro il muro della mentalità comune e la allargherà ogni giorno di più